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IL PATTO - Cap. XIII La Fuga

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Quando la porta fu aperta ed ebbe visto la faccia del carceriere e un frate incappucciato, comprese d'essere stato condannato a morte e che la sua ora era giunta, poi riconobbe la voce del frate, che chiedeva di lasciarlo solo con il condannato per la confessione.
"Spaccamontagne…”
“Fai tutto quello che ti dico…”
Il finto frate si chinò sull’amico ancora disteso sul giaciglio di paglia.
“Ma cosa fai qui? – Raniero si sollevò -  Chi ti ha dato questo saio?" bisbigliò all’orecchio dell’amico il quale aveva tirato un piccolo crocifisso di legno da sotto il saio.
"Un'anima pia!... Fratel Daniele, che assiste i condannati; ha già assistito alla condanna a morte di Rames."
"Rames?" stupìil ragazzo.
"E' stato giustiziato questa mattina...Tu non puoi sapere, certo, quello che è successo: quel pazzo ha ucciso il vecchio Ivan e ferito Pthos e Menes."
"Cooosa?"
"... in un eccesso di gelosia nei tuoi confronti, per amore della bella Marika:.E’ stato lui, con un certo bettoliere a denunciarci al Consiglio dei Dieci...così mi ha spiegato madamigella Mavera...E' lei che mi ha aiutato ed ha convinto il frate ad aiutarci, permettendomi di sostituirlo. All'isolotto del Buon Pastore troveremo cavalli pronti per lasciare la città.. Ma ora ascolta..."
Spaccamontagne espose il piano e Raniero ascoltava in silenzio poi lo  abbracciò, riconoscente e commosso.
Così li trovarono i fanti incaricati di condurre il condannato sul luogo del supplizio. Erano entrati in silenzio e si erano fermati sulla porta, con le alabarde in mano.
Con loro c'era anche un uomo dall'aria molto autorevole, incaricato dal Comune di assistere all'esecuzione. Costui  si accostò al condannato, spiegò la pergamena che teneva in mano e lesse:
"In nome dell'Eccellentissimo Consiglio dei Dieci e di Sua Altezza Serenissima, il Doge, io vi comunico, Raniero detto il Diseredato, che il Tribunale vi ha riconosciuto colpevole e condannato alla pena di morte per annegamento nel Canale Orfano."
Raniero chinò il capo senza rispondere e i  quattro fanti lo circondarono.
Sempre in silenzio, il ragazzo seguì il falso frate, che apriva il mesto corteo; l'incaricato comunale e il boia venivano per ultimi.
Nel silenzio complice della notte, rotto solamente dall'eco che i passi si lasciavano alle spalle, il corteo attraversò scale e cunicoli e lasciò il tetro edificio.
Raniero aveva le mani legate dietro la schiena e per salire sulla gondola che doveva condurlo al supplizio, dovettero aiutarlo e il timoniere, che per l'occasione era un fante, si pose alla guida.
Dopo un breve percorso raggiunsero il Canal Orfano, reso tristemente famoso dalle esecuzioni di cui si era reso complice involontario…  Canale che sarebbe stato più giusto chiamare Canale della Morte, come in effetti lo aveva ribattezzato il popolo.

Il primo a lasciare la barca fu il timoniere, seguirono il prigioniero e il frate, poi tutti gli altri; ultimo a scendere fu il boia, che si fece aiutare da un fante a portare corde e pesi. Uno sguardo di intesa corse fra i due e intanto, il finto monaco accostava la piccola croce  alle labbra del condannato. Proprio nello stesso momento, nell'oscurità  screziata di ombre, la luce delle fiaccole dei fanti illuminò le figure di due uomini incappucciati ed armati fino ai denti.
Erano comparsi sulla scena come d'incanto.
I due aggredirono i fanti e il finto monaco fece volar via il saio ed ingaggiò una lotta con l'ultimo fante poiché l'altro, il terzo, si era trovato prigioniero del pugnale del timoniere.
L'incaricato comunale, trovatosi solo, si avvicinò al boia.
"E' un tranello.- disse - Vogliono liberare il condannato." ma quello, con una risata di scherno, si liberò del cappuccio, mostrando all'esterrefatto signore, un volto sconosciuto.
"Voi non siete il boia!" esclamò sgomento.
"Proprio no, signore. Se volete il vostro valente strangolatore a pagamento, tornate nelle prigioni del Ponte dei Sospiri. Da qualche parte troverete un salame impacchettato… ah.ah.ah." rise.
Sopraffatti per numero e valore, gli uomini della Repubblica si arresero e il rappresentante del Consiglio tuonò:
"Non penserete che questo atto resti impunito? Chiunque venga condannato dal Tribunale dei Dieci è raggiunto ovunque…"
"Non questa volta, messere… - lo interruppe Spaccamontagne con un comico inchino - Non questa volta: la vostra giustizia non ci riguarda."
"Ma essa vi ragg…!"
"Staremo ad aspettare. – lo interruppe ancora il giovane con sarcasmo - Per intanto, portate i nostri saluti ai Dieci del Consiglio." replicò l'ex bandito voltategli le spalle poi raggiunse Raniero già ai remi della gondola; gli altri erano già lontano oltre il Ponte, inghiottiti dalle tenebre.
Seguendo il piano di fuga, all'isolotto del Buon Pastore Raniero e Spaccamontagne  trovarono ad attenderli  i cavalli con cui lasciare Venezia e la laguna.

Mentre alle prigioni la Giustizia faceva il suo corso, cosa accadeva nella cantina del Gambero Rosso, dove, secondo le affermazioni di Bortolo doveva trovarsi Rames?
Nel lasciarsi con lo zingaro, due giorni prima, il taverniere si era reso conto di aver messo le sue sorti nelle mani del compare e questo proprio non gli piaceva. Decise, con l'aiuto di alcuni amici suoi complici, di rapire lo zingaro e rinchiuderlo in fondo alla botola della sua cantina in attesa degli eventi.
                                               

Rinvenuto dallo stato di incoscienza in cui lo aveva sprofondato un violento colpo in testa, Rames si ritrovò legato mani e piedi nel fondo della botola del vecchio compare ma, passato il primo attimo di rabbia, lo zingaro non faticò a liberarsi delle corde con l'aiuto di un pugnale di ridotte dimensioni che portava nascosto sotto la suola dei calzari e che era sfuggito alla perquisizione del taverniere.
"Piccolo ladruncolo di polli. Ti farò pentire d'essere al mondo." ringhiava lo zingaro mentre perlustrava il fondo della botola.
Nell'udire un rumore di acque, gli vennero in mente certe parole di Bortolo:
"Tutte le cantine a Venezia hanno uno sbocco in mare. Un cadavere può sparire senza lasciar traccia."
Sicuro che anche quella cantina ne avesse uno e col timore che anche a lui  potesse toccare quella sorte e finire cadavere in mare, si pose immediatamente e febbrilmente alla ricercalo di qualche indizio.
La cantina era ampia ed umida; una sottile coltre di polvere, resa compatta dall'umidità, copriva ogni cosa quasi con ostentazione.
Il giovane zingaro buttò tutto per aria: casse, stracci, assi ed ogni altro oggetto e i suoi sforzi furono finalmente premiati, quando scoprì un'apertura nella parete, alta settanta o ottanta centimetri e larga non più di mezzo metro. Un sinistro sorriso gli rischiarò la faccia rabbuiata.
Nella serratura  mancava la chiave e lui la cercò febbrilmente, anche se era certo di non trovarla. Non la trovo, infatti, ma non se ne curò: far saltare la serratura con la punta del piccolo pugnale era un gioco da ragazzi.
La porticina si aprì cigolando e lo zingaro, pugnale tra i denti, si buttò in acqua senza esitazione e nuotando vigorosamente ed a lunghe bracciate, aggirò la casa e si allontanò lasciandosi alle spalle il Gambero Rosso.

A Palazzo Mavera trovò i compagni già pronti a lasciare la città; l’incalzare degli eventi suggeriva cautela.
Irriconoscibile per la vistosa ferita alla fronte e per il sangue che gli imbrattava la faccia e le vesti, Rames fu accolto da un coro di disapprovazione;  il vecchio Ivan gli puntò  contro la mano accusatrice.
"Hai tradito un ospite. - tuonò - Fermati dove sei."
Rames non si fermò, ma lentamente ed a lunghi passi si avvicinò al crocicchio degli zingari.
"Cosa hai da dire a tua discolpa? —, incalzò il vecchio capo -  Parla. Difenditi."
"Io mi difendo col pugnale." rispose lo zingaro sfoderando la sua arma micidiale.
"Posa quell'arma e sottomettiti al giudizio degli anziani della  tribù. Lo sai a cosa vai incontro con la tua impudenza."
"Nessuno di voi mi toccherà!" ringhiò lo zingaro.
"Prendetelo!- ordino il capo - Che sia..."
Rames, però, non gli consentì nemmeno di terminare la frase e senza un attimo di esitazione immerse l'arma nel petto del vecchio capo, fino all'impugnatura.
Ivan non gridò, neppure un lamento; fu Marika che lanciò un urlo disperato e si  gettò in avanti.
"La visione... La visione..." urlava, tentando di sorreggere il padre.
Rames si chinò con gesto repentino a recupeare il pugnale dal corpo senza vita del capo, pronto ad uccidere ancora, ma Pthos, il futuro Re del Popolo Giziano, il figlio adottivo del vecchio capo, armato lui pure di un pugnale, si portò alle sue spalle.
"Risponderai a me di questo sangue."
Quando Marika si accorse del nuovo duello mortale che stava per consumarsi, si alzò e come una furia raggiunse i due.
"No!" urlò, mettendosi tra di loro.
"Allontanati, Marika.  – le ordinò il giovane - Il cadavere di nostro padre giace per terra e tocca a me vendicarlo. Farò bere al mio pugnale il sangue di questo infame."

Rames indietreggiò; Pthos fece l'atto di seguirlo, ma l'altro voltò le spalle e si allontanò di corsa, come per fuggire; invece si fermò di scatto, fatti pochi metri, e si volt: si vide la punta del pugnale luccicare fra l'indice e il pollice della mano destra.
Pthos capì le sue intenzioni e tentò con uno scatto di evitare il colpo micidiale diretto al petto. Inutile. Il pugnale gli si conficcò fra due costole.
Il giovane mandò un grido e barcollando si aggrappò ad una colonna.
Urlando come una forsennata, Marika gli corse accanto e tentò di sorreggerlo, ma il giovane lentamente si lasciò scivolare a terra.
"E' ancora vivo. - disse qualcuno alle spalle della ragazza - Portatelo via."
"Prendete quell'assassino e consegnatelo alle guardie della Repubblica." fece eco un'altra voce, ma una terza, tonante come un uragano, sovrastò le altre:
"A me, assassino!"

Era Manes e Marika per la seconda volta si frappose fra due pugnali tesi.
"No, Menes. – gridò, aggrappandosi alle spalle dello zingaro - Non voglio vedere spargere anche il tuo sangue. No!..."
"Era questo che ti terrorizzava? - esclamò il gitano, senza voltarsi nè indietreggiare di un sol passo - Io non posso fermare il Destino, se questo è già stato scritto... Lasciami, Marika. Non é tempo per piangere, questo!"
Approfittando di quegli attimi, Rames aveva recuperato il pugnale caduto a Pthos e con quello si dispose a difendersi.
Menes lo fronteggiò, gambe divaricate, busto teso in avanti.
Era astuto, Menes e conosceva mosse di lotta segrete; era anche buono e gentile, ma quando andava in collera diventava una furia invincibile. Lo  sapevano tutti e anche Rames lo sapeva e per questo lo temeva e la paura cancellò in lui ogni residuo di umanità.
"Tu non dici niente? - lo sfidò - Non ti vanti di far bere il mio sangue al tuo pugnale?"
L'altro non rispose e quel silenzio lo rese folle di furore, una cieca violenza che lo portò a scagliarsi sull'avversario come una valanga.
Il suo pugnale sfiorò la spalla di Nemes, che continuava a sostenere l’attacco, poi la punta di una lancia costrinse Rames a lasciar andare il pugnale; anche Menes lasciò cadere la sua arma: erano giunti i fanti della Repubblica.

"Chi é lo zingaro di nome Rames?" chiese uno di loro.
"E' lui." una selva di mani accusatrici indicarono l'assassino.

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